Bradley Strider, Blue Calx, Polygon Window, The Tuss, AFX, Q-Chastic, comunque si faccia chiamare compie oggi quarantasei anni Richard David James, aka Aphex Twin, il musicista elettronico più iconico della scena IDM degli anni Novanta, puntualmente piazzato in zone di alta classifica fra le influenze di dj e producer successivi (oltre i confini della techno: Madonna e i Radiohead gli sbavano dietro da secoli). Impossibile stabilire un’unica cifra per la sua musica, così come sterile sarebbe un confronto fra i suoi livelli di ricerca sonora e quelli dei colleghi Autechre, Squarepusher, Boards of Canada, eccetera. Certo invece è che in termini commerciali Aphex Twin è un nome impresso nella cultura musicale grossomodo popolare non solo fra gli appassionati del genere, che anzi spesso dimostrandosi non troppo brillanti in virtù dell’equazione successo = schifo tendono a liquidarlo arricciando il naso.
Dopo il doppio album “Drukqs” del 2001, summa ideale, al contempo digestione e rigetto non soltanto delle sonorità fin lì sperimentate ma anche di un intero decennio di musica dance “alternativa”, fra rave e mainstream, esplosa ovunque al ritmo di Chemical Brothers, Prodigy, Fatboy Slim e compagnia, Aphex Twin si è eclissato, centellinando le uscite discografiche, Ep e remix, e le sortite live. Sono trascorsi quattordici anni prima della realizzazione di un nuovo vero disco, il premiato “Syro”, a seguito del quale sono riprese con più regolarità pure le esibizioni dal vivo, in una serie di show che nelle intenzioni di James avrebbero dovuto includere l’occultamento dell’artista dietro una scenografia composta totalmente di specchi giganteschi – progetto poi ridimensionato, riadattato al budget a disposizione, trasformato in una proiezione di immagini in tempo reale del pubblico danzante con le facce mutate dal morphing computerizzato.
Se nel 1997 Aphex Twin è diventato il musicista più in vista del panorama, insidiando il trono conquistato da “The Fat of the Land” dei Prodigy, il merito va condiviso con Chris Cunningham, videoartista attivo al cinema, in pubblicità, autore di installazioni formidabili esposte dappertutto nel mondo. Sui videoclip di sua produzione (per Portishead, Placebo, Autechre, Bjork) ci sarebbe da discorrere in separata sede; qui diciamo che porta la sua firma quello cult di “Come to Daddy”, caotico fulmine breakcore basato su un riff death metal tradotto in immagini girate dove Kubrick girò “Arancia Meccanica”: inizio che migliore non si poteva di una collaborazione proseguita con “Windowlicker”, “Flex”, “Monkey Drummer” fino ad arrivare alle degenerazioni carnali di “Rubber Johnny” e a un tour audiovisuale che nel 2005 squassò anche Torino.