di Matteo Pennacchia
Il 16 luglio il cinema ha perso George Romero (e come non bastasse, poche ore prima, Martin Landau: per alcuni il comandante Koenig di “Spazio 1999”, per altri il Bela Lugosi tossicomane di “Ed Wood”).
Spesso semplificata o ricondotta a un singolo filone, l’opera di Romero sconfina invece dal cinema di genere e finisce dritta nella cultura popolare, non solo tenendo a battesimo la concezione di zombi moderno riciclata oggi nei modi più improbabili, ma anche e soprattutto appiccando nell’horror il fuoco della critica sociopolitica, fin dalle tensioni razziali messe in scena ne “La notte dei morti viventi”, esordio datato ’68.
Assodata l’influenza esercitata su “Thriller” di Landis/Jackson, nella sua carriera Romero compie un’unica incursione musicale. È il 1999, gli serve un gruppo da far suonare in una scena di “Bruiser”, film poco fortunato (come quasi tutti i suoi lavori non zombeschi). Sorte di un immaginario comune: sono i Misfits a farsi avanti proponendo un accordo non monetario, ossia appariranno nella pellicola e in cambio il regista girerà per loro un videoclip. Ne esce “Scream!” una divertente sarabanda horror punk in cui Romero si riappropria dei cliché figliati dai suoi morti viventi, prendendoli e prendendosi sanamente poco sul serio.