“Dare to Be Different”, uno dei documentari appena passati da Seeyousound IV, si apre sulla cover sguaiata di “My Way” a firma Sid Vicious, dichiarazione emblematica della stazione radio WLIR 92.7 contro l’opposizione burocratica del broadcasting americano. La WLIR si è battuta negli anni ’80 per continuare a esistere a modo proprio, per essere riconosciuta nei confini (e negli sconfinamenti) di un’identità precisa.
Molti film della quarta edizione del Festival si sono mossi attorno al baricentro dell’identità. Identità da preservare, affermare, definire, (ri)costruire. “Song of Granite” (vincitore del premio Long Play Feature / Francesca Evangelisti) monta i frammenti di quella di Joe Heaney, cantante folk irlandese. In “Souvenir” Isabelle Huppert recupera una versione di sé che temeva perduta per sempre. Il Morrissey di “England is Mine” dichiara guerra al mondo per difendere con orgoglio un Io controverso. I protagonisti di “Stuck” sono costretti a mettere in dubbio la propria identità difronte a ruoli sociali apparentemente già assegnati. Stephan Plank cerca di scoprire chi era suo padre Conny, forse per scoprire anche qualcosa su se stesso. L’identità di Shahin Najafi (“When God Sleeps”) è costantemente ridiscussa, mentre quella dei Teddybears e di Betty Davis rimane un mistero. “Silvana” non è altro che la storia di una soffertissima conquista identitaria. In “Radio Kobani” è l’identità di una città intera a essere polverizzata dall’orrore della guerra, per poi riassemblarsi pian piano. I giacobini di “Love Records” provano a dare nuova e più eccitante identità alla Finlandia, attraverso il rock. Matt Johnson e Ryuichi Sakamoto ragionano su quali siano gli elementi formativi di un’identità (musicale, da par loro), in “Barbara” il gioco delle parti impazzisce, confondendo metatestualmente tre livelli di identità, fuori e dentro il film, e perfino in “Rushin’ Guy” (videoclip vincitore) l’identità va in cortocircuito con il morphing.
Sì, grazie, ma sorvoliamo volentieri prosopopee socio-psico-filosofiche sulla relazione fra una tale tendenza argomentativa e l’orientamento dell’attualità. Forse significa qualcosa, forse nulla, e ben vengano le identità fluide tanto in voga, le clonazioni, i mutanti. Ciò detto, Seeyousound un’identità ce l’ha, vuole averla (il consuntivo di quest’anno sembra premiare l’intenzione). Sbanderà, tremerà, evolverà com’è giusto che sia, perché il futuro non è scritto e il dubbio sostiene il mondo, ma lo farà sempre decidendo per conto suo la via da seguire, così da poter urlare alla fine di ogni edizione (comunque vada, come la WLIR 92.7, come Sid) …I did it my way!
(Ovvio, tutto questo non si terrebbe in piedi senza spettatori e sponsor: a entrambi gratitudine eterna. Di solito si dice “arrivederci all’anno prossimo”. Non in questo caso. Niente alibi, niente scampo, orecchie tese, Seeyousound dura 365 giorni. Ci vediamo il 24 febbraio. Un nome? Gli Sleaford Mods…)