Della passione di Jack Nicholson per il basket e i Los Angeles Lakers si sa. Chi fosse incappato in foto o video dell’attore mentre si sbraccia a bordo campo durante una partita dei suoi beniamini, col solito ghigno malefico a strappargli la bocca, forse avrà notato al suo fianco la presenza fissa di un canuto individuo sempre in occhiali da sole, fedora o basco, piuttosto elegante a suo modo. È Lou Adler, classe 1933. Negli anni ’60 ha prodotto i primi album dei the Mamas & the Papas, negli anni ’70 ha aperto il Roxy Theatre, dal 2006 le sue impronte sono marchiate sulla Hollywood Walk of Fame.
Dici Woodstock e tutti sanno ciò di cui parli. Ma due anni prima, nel 1967, un altro evento segna i prodromi dell’ondata hippie generata dalla Summer of Love. Lo organizza proprio Lou Adler (insieme a Paul Simon e altri degni compari). È Monterey Pop, arcadia fra gli appassionati di musica, ma di qualche tacca sotto il livello di impressione nell’immaginario popolare rispetto al celeberrimo festival messo in piedi da Michael Lang a Bethel nel 1969. I nomi però sono già tutti lì a Monterey, da The Who ai Grateful Dead, dai Canned Heat ai Jefferson Airplane. Pure Ravi Shankar, unico artista pagato in una rassegna di tre giorni in cui entrare costa un dollaro e tutti i proventi vanno in beneficenza. Fra i Big Brother and the Holding Company fa capolino anche una certa Janis Joplin, debuttante. Per dire.
Non proprio debuttante ma al suo primo grande palco anche un ragazzo di venticinque anni magro, con i capelli crespi e un pessimo gusto nel vestire, fortemente voluto in cartellone da Paul McCartney. Si chiama James Marshall Hendrix.
È indubbio che la (di)stortissima Star Spangled Banner woodstockiana sia la prima istantanea di Hendrix a emergere dall’album dei ricordi di una maniera di intendere la musica che non ha più senso di essere, oggi che le rivoluzioni artistiche sono dirottate sui canali di diffusione del prodotto anziché sul prodotto. Ma se la cultura musicale si basa tanto sulle note quanto sulle immagini, forse è la chitarra elettrica suonata con i denti e poi data alle fiamme a rimescolare davvero le carte. Ed è a Monterey che si consuma il sacrificio, con Hendrix inginocchiato a evocare il fuoco, a estrarlo dallo strumento che dopo di lui cambierà per sempre nella concezione di ogni chitarrista sul pianeta Terra.
Un documentario ha registrato questo e tutto il resto: Monterey Pop di D. A. Pennebaker rende giustizia a uno dei più importanti eventi sociali e musicali della storia, e Seeyousound ve lo offre in versione restaurata sabato 14 aprile al Cinema Massimo, nell’ambito di Soundframes Days – Episode 1. Primo appuntamento di un nuovo ciclo: un’intera giornata dedicata al grande cinema musicale di ieri oggi domani. Durante questo primo episodio saranno proiettate altre due perle imperdibili: Festiwal di Tomasz Wolski/Anna Gawlita e Let’s Get Lost di Bruce Weber (introdotto da Giorgio Li Calzi, direttore del Torino Jazz Festival).
Seeyousound | 365 giorni di festival.
Ed è solo l’inizio.
SEEYOUSOUND INTERNATIONAL MUSIC FILM FESTIVAL
in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema
presenta
SOUNDFRAMES DAYS – EPISODE 1
h. 17.00 FESTIWAL (Polonia 2017, 84’)
di Tomasz Wolski, Anna Gawlita
h. 19.00 MONTEREY POP (USA 1968, 79’)
di D. A. Pennebaker
h. 21.00 LET’S GET LOST (USA 1988, 119’)
di Bruce Weber
SABATO 14 APRILE / CINEMA MASSIMO
via Montebello 18 – Torino
Biglietti
7,50€ singolo || 5€ ridotto
Doppietta: 10€ intero || 8€ ridotto
All Day: 15€ intero || 12€ ridotto