di Paolo Campana
Era il febbraio del 2015 quando dal palco del festival di Sanremo il sassofonista degli Spandau Ballet, Steve Norman, annunciò la scomparsa dell’amico Steve Strange, eccentrico cantante dei Visage. A meno di un anno lo seguì a ruota colui che aveva contribuito a renderlo celebre con il videoclip di Ashes to Ashes, David Bowie, rapito per sempre da una stella nera.
Da quella data l’onda mortifera non si è più fermata: tra attentati terroristici e altre sciagure di portata planetaria, la sensazione è che si si stia chiudendo definitivamente un’epoca, e che il tempo abbia cominciato a scorrere sempre più veloce.
È banale dirlo, ma dopo la pandemia e la guerra, altre emergenze fanno capolino all’orizzonte di un presente sempre più inafferrabile e incerto, tanto che il No Future dei Sex Pistols sembra essersi trasformato in un perentorio No Present.
La domanda che sorge spontanea prima di farfugliare delle conclusioni è: si è tutto improvvisamente acuito o anche prima si scompariva così frequentemente, ma non ci si faceva caso?
Il r’n’r’ ha da sempre avuto le sue figure sacrificali care agli dei, che si sono sottratte alla vecchiaia entrando nell’odierno Olimpo del mondo occidentale: la walk of fame. Al denominato Club dei 27, di cui sono parte Jimi Hendrix, Janis Joplin, Brian Jones, Jim Morrison e Amy Whinehouse, sono seguite le laceranti dipartite di artisti sempre più giovani o vicini al nostro tempo, da Ian Curtis a Keith Flint dei Prodigy, dai poco più che adolescenti Lil’ Pip o XXXTentacion a quella più recente di Maxi Jazz dei Faithless.
Si potrebbe obiettare che ogni epoca ha il suo James Dean o il suo Arthur Rimbaud. Ma ci può essere un cambio di generazione così repentino in cui le personalità del mondo del cinema e della musica scompaiono a ritmo sostenuto?
Pure V.Vale, personaggio chiave della cultura underground californiana, sottolinea il fenomeno con funerea ironia in una recentissima newsletter della sua casa editrice Re.Search, e racconta di come l’amico Billy Hawk, fondatore nel 1977 della punk-ska band The Offs, si sia accasciato al suolo improvvisamente.
Dopo la dipartita, per modo di dire più naturale, dei vecchi pilastri del pop-rock come Charlie Watts o, per restare in Italia, Franco Battiato, Milva e Raffaella Carrà, ora sembra la volta ingiustificata della generazione che seguì e che più influenzò gli anni’80. Nick Kamen, Andy Gill (Gang of Four), Genesis P-Orrige (Throbbing Gristle, Psychic TV), Alan Vega (Suicide), Dave Greenfield e Brian Duffy (The Stranglers), Mick Bolton (Dexys), Dario Parisini (Disciplinatha), Mauro Sabbione (Matia Bazar), sono solo alcuni dei nomi che ogni giorno risuonano sui social a colpi di “RIP”.
Le scomparse che più hanno scosso la community perché avvenute in tempi assai ravvicinati sono quelle di Christina Moser (Krisma), Keith Levene (storico chitarrista dei PIL), Angelo Badalamenti, Manuel Göttsching (Ash Ra Tempel) e Terry Hall (The Specials).
Chistina Moser, dolce metà di Maurizio Arceri, cantante dei New Dada, e con lui creatrice dei Krisma, iconica band protagonista del post-punk e del synthpop italiano. Christina era stata invitata, a soli due mesi dalla dipartita dello storico compagno conosciuto a 13 anni, a far parte della giuria dei Soundies (videoclip) della prima edizione di Seeyousound, nel 2015, ed era stata acclamata madrina del festival. A lei era stato dedicato un focus speciale sui videoclip del sexy-duo al fulmicotone che seppe sovvertire il pop italiano sconfinando anche nella sperimentazione via satellite con la Krisma TV.
Keith Levene cominciò a dare colpi di rasoio con la sua chitarra nel 1976 con i London SS, band in cui cantava Siouxsie Sioux e, dopo un breve passaggio nei Clash (indimenticabile il suo perforante riff di What’s My Name del loro primo album), approda prima nei Flowers Of Romance e poi, nel 1978, nella band di John Lydon, i PIL, formazione per cui è perlopiù ricordato oggi, e che lasciò nel 1983 in disaccordo con l’ex-Sex Pistol. Con l’uscita di Jah Wooble dai PIL, Keith finisce a dilettarsi anche con il basso e droni di synth. Notevole la collaborazione nel 1979 con i Cowboys International per il brano Wish dove sfoggia tutta la sua arte, tanto da essere oggi ritenuto da John Frusciante e dai Massive Attack il chitarrista che seppe reinventare il punk. Tra i suoi album solisti Violent Opposition del 1989 resta una delle pagine musicali più inconsuete di quegli anni.
Angelo Badalamenti è soprattutto conosciuto in quanto compositore delle colonne sonore dei film di David Lynch. Intramontabili i suoi temi per Cuore Selvaggio, I segreti di Twin Peaks o Fuoco cammina con me. Come dimenticare Falling cantata da Julee Cruise o il tema di Laura Palmer, ma anche I’m Deranged, cantata da David Bowie, scritta per Strade Perdute, o l’opening di Mulholland Drive. Pochi sanno che mise il suo gusto musicale pure al servizio di Marianne Faithfull per l’album del 1996 A Secret Life o che, insieme a Siouxsie Sioux e Suggs (Madness), nel 2008, incise la colonna sonora di Edge of Love. La sua musica unica, per le atmosfere vellutate e il suono profondo della siderale tastiera che scava nell’anima, lo fa assurgere a oggi, insieme a Morricone, a compositore di colonne sonore tra i più apprezzati.
Manuel Göttsching, uno dei più influenti chitarristi del krautrock, fondatore della della band Ash Ra Tempel, è noto soprattutto per aver dato alla luce l’album solista E2-E4 del 1984, a cui molto deve l’elettronica fiorita alla fine degli anni ’80. Del suo suono si cibò la scena del Cosmic con Daniele Baldelli, dei suoi campioni s’impadronirono la gettonatissima hit made in Italy, Sueño Latino del 1989, ed Equinox, firmata dal guru della scena house progressive newyorchese Danny Tenaglia.
Terry Hall è conosciuto soprattutto per essere il front man dei The Specials, band dell’etichetta 2 tones che contribuì con i Madness, i Selecter, The Beat insieme ai Bad Manners, a inondare con lo ska la grigia Inghilterra di fine ’70, raggiungendo la prima posizione nelle charts inglesi nel’81 con il singolo Ghost Town. Subito dopo formò i Fun Boy Three, il cui album d’esordio si posizionò nel 1983 alla settima posizione delle classifica inglese. Di questo periodo, un cammeo nel video dei Madness Drive My car e il duetto con le Bananarama per la canzone It Ain’t What You Do (It’s the Way That You Do It). Altro successo per la band con il singolo del secondo album The Tunnel of Love. Successivamente collabora al progetto Vegas insieme a Dave Stewart degli Eurythmics, e poi con i Dub Pistols, i Gorillaz, Damon Albarn e Tricky. “Lo sguardo accigliato e un’ espressione impassibile”, come ha scritto Simon Reynolds sul magazine della piattaforma musicale Tidal, pongono Terry Hall, insieme a Elvis Costello, Paul Weller e John Lydon, come una delle figure figure più peculiari del post-punk britannico.
Una volta compresa o recuperata l’eredità storica di questi “eroi nel vento” della musica, quanto sentiremo la loro mancanza? Quanto peserà il pensarli non più tra noi, anche se magari non più in attività negli ultimi anni? Con il post-moderno abbiamo vissuto per un momento nell’illusione di un eterno presente, ma la sensazione oggi è che, sebbene le loro voci non smetteranno mai di risuonare intrappolate nei microsolchi dei dischi, saremo orfani in un oggi sempre più “stretchato” che si sottrae in velocità ai piedi come un tapis roulant. La generazione anni ’80 ha avuto il tempo di assimilare i’60 e i ’70, ma le prossime generazioni cosa raccoglieranno di tutto ciò? La paura della perdita di una memoria è tanta, e sull’oblio potrebbe aver ragione Steve Strange quando con i Visage cantava in versi esistenziali “We fade to grey” (dissolviamo in grigio). Allora i superstiti di una metropoli, ormai asettica, vagheranno come ombre solitarie in cerca di qualcuno a cui raccontare storie. Per dirla con le parole di Terry Hall, This town, is coming like a ghost town…