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UNA LUNGA STORIA D’AMORE: I TALK TALK E L’ITALIA

Di Federico Sacchi

 

Questa storia inizia il 5 aprile 1984. Dallo studio 5 di Cologno Monzese sta andando in onda SuperFLASH!, il quiz televisivo condotto da Mike Buongiorno su Canale 5 che da più di due anni tiene incollati milioni di italiani davanti allo schermo tutti i giovedì sera. All’interno del programma che una parentesi musicale denominata “minishow” in cui si esibiscono (rigorosamente in playback) grandi nomi della scena pop nazionale e internazionale. Grazie alla trasversalità del pubblico di Mike le case discografiche hanno avuto la possibilità di far entrare nella casa della casalinga di Voghera personaggi come Boy George e i Depeche Mode. Conclusa la performance di Claudio Simonetti (sì, quello dei Goblin) Mike riguadagna il centro del palco e inizia a parlare: <<Signori, adesso passiamo a qualcos’altro… Si tratta di un complesso che sta andando per la maggiore, ha spopolato in Inghilterra in questi ultimi due anni ed è praticamente al suo debutto in Italia e quindi noi siamo tra i primi a presentarveli. Sicuramente faranno uno SBREGO, se posso usare questa parola, e soprattutto voi giovani che so seguite il mio minishow, quando soprattutto abbiamo questi personaggi, sarete molto contenti… […] Il titolo di questa canzone… purtroppo non mi è stato detto… (Mike fulmina con lo sguardo l’assistente in studio) credo che sia “It’s my life” probabilmente… “questa è la mia vita”. Questo è il titolo, poi ci spiegheranno perché si chiamano così… Comunque signori, si chiamano i Talk Talk, sapete cosa vuol dire Talk in inglese? Parlare. Quindi praticamente tradotto in italiano sarebbero i “Parlare Parlare”, si vede gente che chiacchera molto. Signori, a superflash, nel nostro minishow abbiamo il piacere di ospitare i Talk Talk!>>.

Ho sempre pensato che la storia d’amore tra la band di Mark Hollis e il nostro paese sia iniziata quella sera. La melodia contagiosa di It’s my life e gli occhialini di Mark Hollis hanno contribuito, ma secondo me la differenza l’ha fatta la delirante intervista che segue l’esibizione, una delle migliori performance di Mike come gaffeur (potete vederla nella sua interezza qui. Fatelo, vi svolterà la giornata). Uno dei momenti più alti è la traduzione “creativa” da parte di Mike di una risposta del leader del gruppo Mark Hollis, in cui l’artista dice che la musica è tutto e che loro amano A Love Supreme di John Coltrane. Come spesso è accaduto nella storia del nostro paese, Mike rappresenta la voce dell’italiano medio. Hollis può dannarsi fin che vuole a parlare di John Coltrane, ma per gli italiani i Talk Talk all’epoca erano un gruppo Pop. Se vogliamo essere più precisi Pop Dance. Quando il gruppo va ospite di Mike It’s my life è al 17° posto delle Billboard Dance Chart negli Stati Uniti. Il 5 maggio erano arrivati al primo posto.
Sull’onda di quell’enorme successo la band torna in Italia per una serie di concerti. La prima data la fanno al Piper di Roma. Le cronache ci parlano di un locale gremito da 2000 persone e quasi altrettante rimaste fuori. Il tour prosegue per altre quattro date e si conclude il 16 maggio 1984 al Rolling Stone di Milano, dove i Talk Talk si trovano in una tipica situazione grottesca all’italiana. All’epoca a Milano non c’era ancora l’ordinanza che impone che i concerti terminino entro le 23:00, quindi prima del live trasmisero sui megaschermi la finale di coppa delle coppe tra Juventus e Porto. Terminato il match la band si trovò a suonare davanti a una platea di Interisti e Milanisti incazzati neri per la vittoria della Juve. Il giornalista del Corriere della Sera ci dice anche che “Concluso l’incontro sportivo gli occhi del pubblico si sono diretti verso il palco dove i Talk Talk attaccavano le note pop delle canzoni. Sonorità leggere e piacevoli, assai indicate per l’ascolto e per il ballo.” Il giornalista parla di una grande partecipazione del pubblico, ma di una vera e propria ovazione quando è partita la intro del nuovo singolo della band. Such a Shame probabilmente è la canzone dei Talk Talk più amata dagli Italiani. Lo dimostra il fatto che ancora oggi riempie la pista di qualsiasi serata anni ’80.

 

Sono convinto che i Talk Talk ebbero un enorme successo in Italia non solo per l’innegabile qualità della loro musica, ma anche perché erano la band giusta al momento giusto. Mi spiego meglio: la primavera-estate del 1984 in Italia imperversa la ‘videoclipmania’ e il gruppo ne ha due straordinari esempi firmati dal grande regista Tim Pope: quello di It’s my Life con le bestie e quello di Such a Shame in cui c’è il Mark Hollis che ricordiamo tutti, con la berretta di lana e il giaccone che fa le facce strane guardando in camera. Questi due videoclip venivano mandate in heavy rotation dalla neonata Videomusic, la prima emittente televisiva europea dedicata esclusivamente ai videoclip. Cosa vuol dire? Che nel giro di tre mesi tutti conobbero la faccia e la musica di Mark Hollis.
Nell’estate del 1984 l’album It’s My Life arriva fino al sesto posto della classifica italiana, tanto che la band viene invitata al Festivalbar e a settembre il tour europeo si apre proprio in Italia con ben nove date. C’è talmente tanta richiesta che a ottobre ritornano per altre due date secche. La prima al Rolling Stone di Milano e la seconda nella mia città d’adozione, Torino. Il 26 ottobre esce un articolo sulla stampa firmato da Ivan Barbiero. Il giornalista è preso benissimo, in particolare per il video di It’s my life. Parla di “un curioso video trasmesso quotidianamente sulle tv specializzate dove compaiono zebre e struzzi che corrono frammisti a piccoli inserimenti di graffiti elettronici. I Talk Talk hanno prodotto un album di notevole consistenza musicale e nel frattempo di sublime diversità negli arrangiamenti. Se il terzetto va per la maggiore lo deve al fatto di essere riuscito al fatto di aver creato una miscela giusta di realismo, freschezza e immaginazione nello stesso tempo, sviluppando il tutto in una solida sensibilità pop”. Insomma, non vede l’ora di andarli a sentire dal vivo, ma quando si hanno grandi aspettative si può andare incontro a grandi delusioni. Poche ore dopo dalle colonne della Stampa Barbiero tuona:“Senza le zebre: In duemila delusi al Palasport per il concerto dei Talk Talk! Qualcuno degli estimatori forse sarà rimasto deluso. Nei loro video promozionali di zebre struzzi altre bestiole più o meno feroci ne compaiono a bizzeffe. Ma in questo caso niente, nemmeno che meno l’ombra dei filmati suggestivi che hanno avuto una parte predominante nell’affermazione del gruppo. Solo musica ben curata e luci calibrate in un giusto equilibrio che però dopo la prima mezz’ora hanno appiattito il fattore spettacolare. Entusiasmo a tutti i costi a qualcuno deve essere venuto poi al pensiero di aver pagato 14 mila lire per vederli.” Non togliete mai le zebre a un giornalista perché potrebbe rovinarvi la carriera.

Il giorno dopo la recensione di Barbiero ne esce un’altra firmata da Marinella Venegoni, all’epoca l’unica donna a scrivere di musica pop sulle pagine di un quotidiano nazionale. La recensione della Venegoni è interessante perché fa un’analisi dei Talk Talk come fenomeno di costume e come musicisti. “Occhiate ai Duran Duran e ai Simple Minds i Talk Talk ne hanno lanciate parecchie, ma il loro suono si infila in una dimensione già scopertamente pronta, utilizzandone tutte le potenzialità con risultati a volte interessanti. Oltre a Hollis, Webb e Harris, nel gruppo sono inseriti anche una chitarra, un paio di tastiere che hanno un ruolo fondamentale negli arrangiamenti e infine tamburi africani. È il dialogo di questi ultimi con la batteria e le tastiere a costituire una degli aspetti più gradevoli dell’intero concerto dei Talk Talk. Atmosfere tribali vengono inserite in un lucido disegno post-elettronico, rinfrancato e sorretto dai suoni acustici, e le tastiere riescono talvolta a ricamare scorci progressivi assai interessanti, che vengono puntualmente fischiati.”
Molto probabilmente una delle canzoni fischiate era Tomorrow Started che nella sua versione live conteneva già tutti gli elementi che fanno intuire quale sarà l’evoluzione sonora della band. È assolutamente comprensibile che i/le ragazzini/e di 16 anni che andavano a un concerto di Talk Talk per ballare rimanessero interdetti di fronte a un brano come quello. Detto ciò, la fama del gruppo nel nostro paese in quel momento è ai massimi storici. Nel febbraio del 1985 vengono inseriti all’ultimo momento come ospiti al Festival di Sanremo e la EMI decide di pubblicare un disco appositamente per il mercato italiano: It’s my mix, che come volevasi dimostrare raccoglie tutte le versioni estese “da discoteca” (come si diceva allora) dei loro brani più famosi.

 

Photo by Simone Di Pietro

 

Per rivedere i loro beniamini i fan italiani devono aspettare fino al 15 febbraio 1986, quando i Talk Talk salgono sul parco dell’Ariston in veste di Super Ospiti della 36esima edizione del Festival di Sanremo. La band si produce in uno scandaloso playback di Life is what you make it, il loro nuovo singolo che sta riscuotendo un enorme successo in tutta Europa. I giornali di gossip dell’epoca riportano che i Talk Talk erano l’unica band che poteva girare indisturbata per la città senza essere braccata dai cacciatori di autografi perché, grazie al loro look tra lo sciatto e il dimesso, nessuno li riconosceva. L’altra notizia è che tutte le sere i musicisti venivano avvistati nei pub della città in compagnia di Clive e Rick di Videomusic in condizioni abbastanza vergognose. Stiamo parlando della band, non di Mark, che come diceva Paul Webb preferiva “rimanere in albergo a pensare”. In un’intervista rilasciata alla stampa Mark dice di essere molto stanco, d’altra parte le registrazioni dell’album si sono protratte per quasi nove mesi, e che non vede l’ora di tornare in Inghilterra e passare un po’ di tempo in campagna nella zona dei laghi, prima che inizi la seconda fase promozionale per l’album di imminente uscita.
Sarà anche stata una faticaccia registrare quel disco, ma ne era valsa la pena. The colour of spring è uno dei più grandi album di pop regale degli anni ‘80, ma all’epoca divise la critica. La stampa generalista taccia i Talk Talk di pretenziosità (va anche detto che Mark sicuramente ci mette del suo. Quando gli domandano a chi si fosse ispirato durante la composizione del disco Hollis parla di Debussy e Ravel), ma la stampa musicale “seria” che fino a quel momento li aveva snobbati è costretta a ricredersi e di fronte all’oggettivo valore della musica inizia a dedicare spazio alla band sulle pagine delle riviste specializzate.

Per quanto riguarda l’Italia il caso di Ciao 2001 è emblematico. La leggendaria rivista musicale all’inizio degli anni ‘80 aveva come capo redattore un giovane giornalista molto intraprendente, Francesco Adinolfi, destinato a una brillante carriera sulla carta stampata, radio e TV. Nella primavera dell’86 il giornalista dedica ben cinque pagine alla band in cui viene ripercorsa tutta la loro parabola artistica. L’articolo è aperto da una recensione che occupa un’intera pagina a cui viene dato il titolo di “Inno alla primavera”. Adinolfi parla di cancellazione della memoria rispetto alla produzione passata, di un nuovo corso. Un disco prodotto benissimo e molto al di sopra delle aspettative. Melanconico e avvincente, di una maturazione a livello musicale e lirico. Soprattutto è il primo a dire che già il retro di Life if what you make it lasciava intuire un vero e proprio cambiamento di pelle. Effettivamente It’s Getting late in the evening rappresenta un punto di non ritorno nella carriera dei Talk Talk. Una gemma rimasta appannaggio per più di 20 anni esclusivamente dei fan più accaniti. È la composizione più straordinaria e sperimentale scritta da Mark Hollis e il suo sodale Tim Fresie Greene fino ad allora, una dichiarazione di intenti, soprattutto perché hanno deciso di metterla come lato B della hit scritta su commissione. E come se avessero detto: Volevate una hit? E noi ve l’abbiamo scritta, ma la direzione in cui stiamo andando è questa e non torneremo più indietro. Una composizione che mette in evidenza altri due aspetti. Il primo è che l’apporto di Paul Webb e Lee Harris è limitatissimo, il secondo è che un brano come questo dal vivo è praticamente impossibile da eseguire. Il problema è che non è l’unica composizione uscita dalle session di Colour of spring a presentare questo problema.
Lo spiega molto bene Roberto Gandolfi nella recensione uscita su Ciao 2001 della prima data del nuovo tour italiano, quella di Bologna. Gandolfi parla di “uno show elegante e sobrio, con un palco illuminato da immagini di pittori impressionisti in un mélange di tinte pastello. Uno show energico da risultare emozionante anche se con qualche pecca. Gli unici punti a sfavore dello spettacolo sono stati segnati nel corso dell’esecuzione di April 5th, piuttosto diversa dalla versione in vinile, pretesto per una suite interminabile, all’interno della quale i vari strumenti hanno giocato a rincorrersi, in una serie di tecnicismi apprezzabili ma fini a sé stessi”.

 

Personalmente pagherei oro per poter sentire una versione da 10 minuti di April 5th, ma probabilmente aveva ragione Gandolfi, perché già nelle ultime date del tour italiano il brano era scomparso dalla scaletta. In quel momento il gruppo si trova nella stessa situazione dei Beatles quando smisero di esibirsi dal vivo. 2/3 della scaletta di quel tour era costituito da brani dei primi due album perché la maggior parte dei brani di Colour of Spring erano impossibili da riprodurre dal vivo secondo gli elevatissimi standard qualitativi di Mark, nonostante in quel momento i Talk Talk fossero un ottetto di musicisti pazzeschi. Una situazione insostenibile per Hollis che lo porterà a prendere una decisione drastica: terminato il tour non si sarebbe mai più esibito dal vivo.

Con quel tour si conclude idealmente anche la fase “passionale” dell’amore tra gli italiani e i Talk Talk. La musica prodotta dal gruppo a partire da Spirit of Eden era oggettivamente troppo complessa per il grande pubblico e l’impossibilità di vedere la band dal vivo sicuramente non ha aiutato. Finisce la passione ma non l’amore. Le reazioni di sincera commozione alla notizia della morte di Mark Hollis di migliaia di persone ne sono la dimostrazione. A distanza di trent’anni le loro canzoni vengono regolarmente programmate dalle radio italiane e ogni volta che in una discussione esce il loro nome gli occhi degli ultraquarantenni si illuminano. Perché per gli italiani i Talk Talk saranno sempre come quella ex con cui sei rimasto in buoni rapporti e ogni volta che la incontri ti domandi “ma perché è finita tra noi due?”.

Questo articolo contiene estratti dallo spettacolo di Federico Sacchi “Talk Talk Before the Silence”. È vietata la riproduzione senza l’autorizzazione dell’autore. Tutti i diritti riservati.