Di Piero Di Bucchianico
Suoni nuovi, suoni inauditi. Suoni come espressioni di identità negate che trovano nella musica il viatico per emergere e ribadire la loro esistenza. Con Lisbon Beat (Batida de Lisboa) Rita Maia e Vasco Viana conferiscono visibilità a una scena musicale sempre più alla ricerca di legittimazione sia nel contesto portoghese che in un più ampio spettro internazionale.
A seguito della rivoluzione dei garofani e della destituzione del regime di Antonio Salazar, il 1974 vide iniziare il processo decolonizzazione dei territori di Angola, Capo Verde, São Tomè e Principe, Mozambico e Guinea Bissau. Terminato il controllo esercitato dal governo portoghese, centinaia di migliaia di migranti giunsero a Lisbona per fuggire dalla condizione di severa instabilità politica ed economica delle guerre civili risultanti dai processi di indipendenza.
Nel corso di Lisbon Beat viene dato ampio spazio agli interventi di musicisti (ma prima di tutto di cittadini) che raccontano con un misto di amarezza e lucidità il loro trascorso di migranti indesiderati sul suolo portoghese, fra chi è ancora in attesa dopo decenni di poter regolarizzare il proprio stato e ottenere la cittadinanza e chi è effettivamente nato e cresciuto sul suolo portoghese ma viene comunque emarginato per via delle proprie origini africane.
“Dobbiamo ancora accertarci che la tua presenza qui sia di una qualsiasi utilità”, si sente rivolgere uno degli intervistati dalle autorità: questa e altre testimonianze non fanno altro che evidenziare come lo sguardo coloniale eserciti ancora oggi un potere e in taluni casi un’accondiscendenza difficili da abbattere.
L’immagine notoriamente cosmopolita di Lisbona continua, evidentemente, a scontrarsi con dei meccanismi di resistenza in atto da decenni e che di fatto perdurano tutt’oggi nell’ostacolare i processi di mescolanza e integrazione della popolazione. Eppure Lisbon Beat vuole evidenziare come la musica possa diventare lo strumento di emancipazione da quello stesso sguardo paternalista e marginalizzante.
Essa riveste infatti un ruolo centrale nella cultura di queste comunità da decenni emarginate e condotte in stabilimenti localizzati ai confini della città: che si provenga dall’Angola, da da Capo Verde, da São Tome e Principe, dal Mozambico o dalla Guinea Bissau, in questo caso non fa molta differenza: la musica accomuna tutte queste culture e ne caratterizza il quotidiano riempendone gli spazi e i tempi del comune vivere.
Nei cosiddetti barrios di Lisbona, i quartieri residenziali, aree senza scuole, collegamenti o luoghi di attrazione, essa non è vissuta soltanto come un attributo ininfluente ma è bensì considerata come parte integrante dell’esistenza. L’impatto che questa presenza costante e avvolgente genera fin dall’infanzia negli abitanti dei ghetti è senz’altro una delle cause scatenanti dell’emergere di talentuosi disc jockey che poi intraprendono la strada della reinterpretazione contemporanea di musiche tradizionali attraverso processi creativi di ibridazione e contaminazione sonora.
I barrios diventano dunque spazi di espressione per giovani deejay quali Dj Marfox, Dj Nigga Fox, Dj Nervoso, Nidia (solo per citarne alcuni) che risultano essere gli attuali protagonisti di un contesto in pieno fermento culturale già dalla seconda metà degli anni 2000 e poi definitivamente esploso nel decennio successivo.
La prepotente emersione di questo fenomeno musicale definibile come il “nuovo suono di Lisbona”, la batida, suscita una richiesta di attenzione che mira prima di tutto a un riconoscimento artistico e mediatico e di conseguenza sconfina in un discorso di più ampia portata civile.
Coniate negli edifici abbandonati dei sobborghi della capitale, ciascuna di queste sonorità elettroniche può avere un differente piglio e delle sfumature che variano a seconda delle influenze. Ciò che le caratterizza e le accomuna è il carattere fortemente ibrido, il quale fa sì che i deejay e i produttori vogliano apertamente richiamare sia le proprie radici africane, sia le tendenze house e dance contemporanee e occidentali.
Inoltre, l’intento è ovviamente quello di animare e infuocare i party suscitando un’irresistibile voglia di danzare che sorge grazie ad una poliritmia energica e pulsante. La genealogia musicale di questi suoni è dichiarata e dunque tracciabile a livello storico-critico: si risale principalmente alla seconda metà degli anni ‘80, periodo storico in cui l’house music fa capolino in Africa.
Già in questa prima fase, in Angola viene effettuata una rielaborazione di suoni dalle diverse provenienze tramite processi di creolizzazione tipicamente associati ai fenomeni linguistici ma in realtà estendibili pacificamente anche al contesto musicale. La semba, musica della tradizione, viene allora esposta alla contaminazione dei suoni dell’occidente dando vita al kuduro, alla kizomba e la tarraxinha angolani.
Queste musiche, inscindibili dalle danze (come se l’onda sonora e il movimento del corpo fossero un’unica cosa), costituiscono il terreno su cui la più aggressiva e unicamente strumentale batida fonda il proprio statuto. Per poter giungere fino ai giorni odierni, queste musiche hanno dovuto consolidarsi, divenire popolari e poi perdurare di generazione in generazione anche grazie allo sviluppo e alla diffusione di tecnologie elettroniche e di software (sia in fase di produzione che di diffusione) che hanno permesso ai deejay di sperimentare e implementare nuove idee e influenze.
Come emerge chiaramente dalla visione di Lisbon Beat, questo meticciato elettronico strumentale composto da sonorità della tradizione, house e techno non avrebbe tuttavia potuto rivolgere le sue onde al di fuori dei club dei party angolani e capo-verdiani e ambire alle sirene del centro della capitale (nonché a quelle internazionali) senza una più ampia esposizione mediatica.
A farsi carico di questa missione è l’etichetta Principe Discos nella decisiva figura di Pedro Gomes, il quale rimane sbalordito di fronte alla proposta musicale della Lisbona suburbana. Meravigliato di come questa avesse un’incidenza pressoché nulla sul centro culturale della città e in senso più ampio su tutta la realtà musicale portoghese, Gomes decide subito di instaurare un rapporto di collaborazione e di fiducia con DJ Marfox e con altri nomi chiave del movimento.
Intuendo le potenzialità della scena e comprendendone lo spirito, le radici e la ragion d’essere, Principe Discos canalizza tutte le energie verso un ambizioso progetto finalizzato alle luci della ribalta.
Attraverso la creazione del contesto perfetto al perfezionamento del sound e alla crescita esponenziale di tutta la scena, Principe Discos genera le condizioni di possibilità per la prosecuzione di un discorso artistico che sembra essere ancora nel suo pieno sviluppo.
In questo quadro si inserisce anche Lisbon Beat, il quale si rivela essere un documentario proteso alla registrazione di una realtà ritratta dall’interno e dunque fortemente orientato nel voler fungere da amplificatore di una voce troppo a lungo sopita dal colonialismo e desiderosa di riscatto.
Abituati dalla storia del cinema alle sontuose sinfonie dedicate alle grandi città nel tentativo di restituirne la maestosità e la complessità, con Lisbon Beat cogliamo l’opportunità (non scontata) di volgere il nostro sguardo e di tendere le nostre orecchie nei riguardi di ciò che di una grande realtà è spesso celato: il contesto liminale e decentrato, solo apparentemente microscopico e ininfluente, fortemente proteso verso il ribaltamento della propria condizione subalterna.