A cura di Federica Lemme
Wheel in the Roses, un EP di quattro brani pubblicato per la gloriosa etichetta 4AD nel 1980, quando i Rema-Rema si erano da poco sciolti. Una storia emblematica che può riassumere quella di un altro centinaio di gruppi del periodo post-punk. Nomi che ci hanno provato, ma che, per i motivi più svariati, non ce l’hanno fatta, anche se in quelle loro nascoste produzioni musicali è ancora spesso racchiusa una genialità musicale che non può essere dimenticata, come afferma Steve Albini all’interno del documentario What you could not visualise. Il nuovo film di Marco Porsia, regista romano residente da anni a Toronto, presentato in anteprima europea al Seeyousound, ripercorre la storia della cult band Rema-Rema che, per l’occasione, con l’aiuto dei torinesi Larsen, torna a esibirsi dopo quasi mezzo secolo, con un mini live che unisce in un unico suono presente e passato del feedback.
È trascorso molto tempo dall’uscita di Wheel In The Roses. Com’è stato ritrovarsi protagonisti di un film? Com’è stato ripercorrere la tua storia dopo tutto questo tempo?
Michael Allen: sembra che una minuscola parte della mia anima errante che ha cercato riconoscimento e rilevanza, ma che è poi finita abbandonata nei capricci del tempo, sia stata finalmente trovata, e che la gigantesca sfera nel cielo abbia acceso una luce e scacciato le ombre.
Marco, il tuo precedente documentario sugli Swans era intitolato Where Does a Body End? e il nuovo What you could not visualise. I titoli mi hanno molto colpita, certo, sono delle citazioni, ma mi piacerebbe chiederti cosa indaghi attraverso storie di musicisti che scavano nelle buie profondità del suono o che si trovano immersi nella nostalgia di un tempo passato: cerchi qualcosa oltre il corpo, e oltre ciò che si può vedere?
Marco Porsia: i titoli sono molto importanti per me. Where does a body end?, oltre a essere il titolo di una canzone dei Swans, mi sembrava perfetto per il film visto che uno dei temi è l’angoscia l’esistenziale che c’è in noi. Dove finisco io e dove cominci tu?
Con i Rema-Rema subito mi colpí il verso “what you could not visualise”, dopo quarant’anni sembrava scritto appositamente per il documentario, dato che non esiste materiale visivo della band dal vivo. È una frase poetica e melanconica, l’ho presa come una sfida per poter andare avanti, e “visualizzare” e costruire il film.
I documentari sono fatti in funzione della musica degli artisti che l’hanno creata. Prima viene la musica e poi il film come importanza. Mi interessa scavare nel lato umano dei personaggi che hanno creato qualcosa di importante in un tempo che non c’è più, ma che ho potuto vivere, e che in qualche modo posso ricordare.
Hai già in mente un nuovo capitolo di questa ricerca? Progetti per il futuro?
Marco Porsia: sto mettendo un’altro mattone sopra le fondamenta già costruite da Rema-Rema e Swans. Mi piacerebbe fare un documentario sui Virgin Prunes, un’altro gruppo a cui tengo moltissimo. Ho già preso contatti con loro.