Birra e devastazione. È il 1975, è Los Angeles: Jean Paul Beahm informa vagamente l’amico di scuola Georg Ruthenberg dell’esistenza di un piano quinquennale (in onore dei “Five Years” di Bowie) per la band che i due stanno per creare. Senza che nessuno sappia suonare uno strumento.
Beahm è una specie di genio del male, legge roba filosofica che va da Nietzsche a Charlie Manson, si definisce fascista ma non nazista e vuole portare il punk a L.A. Per farlo cambia nome in Darby Crash, assolda due ragazze a caso alla batteria e al basso e piazza Ruthenberg alla chitarra, ribattezzandolo Pat Smear (quel Pat Smear: transitato dai Nirvana, oggi nei Foo Fighters). Dopo un breve rodaggio e l’arrivo di un batterista pseudo-decente i Germs sono pronti a diventare uno dei combo punk a stelle & strisce più importanti della storia del genere.
“What We Do Is Secret” ha la struttura del classico biopic musicale, inframezzato da lampi mockumentary: ascesa e declino della band, dai concerti puntualmente degenerati in rissa alla registrazione del primo e unico disco “(GI)” – prodotto da Joan Jett -, ai problemi di droga di Crash.
Banditi da tutti i locali della città ma adorati dai punkers indigeni, anche i Germs, già di per sé ingestibili, ebbero la loro Nancy Spungen: Rob Henley, nel film col volto angelico di Ashton Holmes, desiderio d’amore omosessuale di Crash e manipolatore patentato, una delle cause a cui il regista Rodger Grossman (venuto dal nulla, sparito nel nulla) attribuisce lo scioglimento della band e la fuga londinese del frontman. Che finito il budget elargito dalla groupie e sedicente manager Amber, rientra in America con una cresta alta due metri e forma la Darby Crash Band, salvo scioglierla dopo un paio di show deprimenti.
È il 1980, siamo alla fine del profetico piano quinquennale, che nessuno ha mai saputo cosa prevedesse. I Germs si esibiscono il 3 dicembre in un concerto d’addio e poi via, tutti a casa. Qualche giorno dopo Crash pianifica il suicidio per overdose insieme alla compagna d’ago Casey Cola: lui muore, lei no, e mentre tutto il mondo piange John Lennon assassinato nelle stesse ore a New York, le lacrime di qualcuno sulla West Coast sono dedicate a un ragazzo di ventidue anni con i denti storti, scostante, stonato, autolesionista, forse pazzo ma che per un lustro è stato il cantante di un gruppo cardine, trait d’union fra il punk in declino e il neonato hardcore.
Non costa assai ammettere quanto il film non sia granché ma che una visione vada tributata alla mimesi di Shane West, il quale passando da E.R. e dalle bave saccarotiche di Nicholas Sparks alle borchie e alle urla di Darby Crash è talmente convincente che nel 2005, a riprese ancora in corso, viene reclutato al microfono dai riformati – veri – Germs e li accompagna in tour fino al 2009, quando la carriera cinematografica ha il sopravvento sulla passione punkabbestia. Carriera poi schiantatasi sul muro delle serie tv di bassa lega: promemoria per quando qualcuno vi chiederà di recitare in “Salem” anziché assecondare il vostro sogno di fare la rockstar.